In Bolivia c’è stato un colpo di stato. Poco tempo dopo aver cercato di compiacere l’opposizione di destra sostenuta dagli Stati Uniti proponendo nuove elezioni, le forze armate della Bolivia, compresi i militari e la polizia, hanno “suggerito” a Evo Morales di dimettersi. Per fermare l’escalation di violenza e spargimento di sangue, egli accetta il “suggerimento”. E’ chiaro che la questione in gioco non era il risultato elettorale né la nozione borghese di democrazia, ma piuttosto la politica progressista di Evo Morales e del suo governo. In altre parole, la posta in gioco sono gli ostacoli all’accumulazione di capitale, e al drenaggio delle ricchezze boliviane da parte degli imperialisti e dei suoi fantocci.
Purtroppo, Evo si è sbagliato sulla violenza. Le sue dimissioni non l’hanno fermata. La sua stessa residenza è stata saccheggiata e i suoi averi incendiati. Le bande di destra stanno organizzando la repressione degli attivisti di sinistra. I membri del movimento di Evo vengono linciati. A parte queste conseguenze immediate, le prossime riforme neoliberali produrranno un’inversione di tendenza nelle politiche che causano un processo a lungo termine di impoverimento, miseria, crescente discriminazione e disuguaglianza. La violenza immediata sarà sostituita da una violenta repressione sistematica a lungo termine per garantire il massimo sfruttamento del popolo boliviano, in particolare delle comunità indigene e delle loro risorse naturali.
L’unica cosa che la storia ha conosciuto come alternativa ai colpi di Stato è la resistenza organizzata del popolo. Con le sue dimissioni Evo ha rinunciato alla possibilità di una risposta organizzata ai golpisti, non ha dato fiducia al popolo boliviano per proteggere la sua sovranità. Tuttavia, il popolo indigeno boliviano ha organizzato l’autodifesa e ha guidato la resistenza contro le marionette imperialiste. Le avanguardie antimperialiste dell’America Latina sono i suoi indigeni.